17 dicembre 2019

Nessuno ci chiederà scusa per il flop delle luminarie di Natale 2019 a Benevento.

Per qualche giorno è diventato virale nella nostra città un fotomontaggio che impietosamente metteva in contrapposizione il rendering di progetto delle ormai tristemente famose luminarie flop, con la foto del test di accensione definitivo che era talmente al di sotto delle aspettative da spingere i suoi stessi promotori ad annullare l'evento, prima in via provvisoria, poi in maniera definitiva, tra accuse incrociate e volo di stracci.
Io mi sono soffermato sulla didascalia che accompagnava il meme, che recitava così: “Come la immaginavano loro. Come la vediamo noi”.
Mi ha colpito per la contrapposizione tra un Noi e un Loro, come se esistessero due città separate, distanti e in contrapposizione. Ed è forse questa presunta contrapposizione la conseguenza meno evidente ma più velenosa della sciagurata vicenda delle luminarie “3D” ad “effetto wow”.

Probabilmente molti pensano che le città siano fatte da 'altri': politici, burocrati, enti, imprenditori.
La città invece è fatta di persone, ed è un fenomeno estremamente complesso, la cui forma ed organizzazione condiziona in modo rilevante il nostro modo di vivere, lavorare e produrre, e influisce anche sui nostri desideri, sui nostri bisogni, sulle nostre ambizioni e, talvolta, sulle nostre frustrazioni. Ogni città è anche infrastruttura culturale in grado di incidere sull'immaginario di chi la abita. L'evoluzione della città è impossibile da contenere in singoli ambiti, talmente numerose e ramificate sono le relazioni che essa ha con qualsiasi attività dell'essere umano; la città può essere nello stesso tempo promessa di felicità e armonia, e teatro del conflitto e della contraddizione; luogo della prosperità e recinto della esclusione. Per questo è assolutamente necessario che ci sia una alleanza tra città come sistema fisico, città come tessuto sociale e città come istituzione di governo locale per evitare una disarmonia ed un disallineamento tra la trasformazione della città e la comunità che la abita.

Politici, burocrati, enti, imprenditori sono necessari, ma solo le persone possono “fare” una città.
Da tempo istituzioni di vario livello a Benevento sembrano aver rinunciato ad ascoltare davvero le persone, sfruttando la loro posizione apicale per operare le scelte strategiche in splendida solitudine, dimenticando che il loro ruolo primario dovrebbe essere quello di fare sintesi tra le potenzialità e le esigenze delle persone, non dei presidenti dei vari Consigli. Ed ecco che abbiamo assistito al naufragio di chi ha pensato che la città fosse affar suo, rovinando la festa più attesa dell'anno e magari convincendo qualche altro cittadino deluso che è tempo di fare le valigie e scappare.

Col tempo, forse, qualcuno troverà il coraggio raccontarci cosa sia effettivamente successo, di sicuro fino ad oggi abbiamo assistito al più classico schema dello scaricabarile. Io, in particolare, come architetto, ho dovuto assistere impotente alla rappresentazione farsesca della categoria professionale cui appartengo, di cui questa città ha bisogno come mai, e che anzi andrebbe valorizzata per quello che può realmente offrire alle persone, tra necessità di gestione e valorizzazione dei suoi beni culturali, problemi cronici di decoro urbano, politiche di mobilità urbana insostenibili, spazi pubblici assenti o banalizzati, perché è già da tempo che la categoria degli architetti è sottoutilizzata.

Dopo questo inciampo, mi piacerebbe che per primo l'Ordine degli Architetti chiedesse scusa ai suoi iscritti ed alla città tutta, perché è nella nostra natura professionale assumerci le responsabilità, e perché si rischia di marginalizzare ancora di più una risorsa senza l'ausilio della quale la città farà fatica ad uscire dalle sabbie mobili in cui sta scivolando, perché le persone, che tutte insieme dovrebbero costruire la propria città, si sentiranno impotenti e sempre più contrapposte tra un Noi e un Loro.



Interventi come questo vogliono alimentare un dibattito per riuscire a dare forma ad una idea di città di lungo periodo che non sia limitato al solo campo urbanistico-edilizio.
Ne “Le città invisibili” di Calvino, Marco Polo dice a Kubilai Khan: “D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda”.
Ogni trasformazione urbana, particolarmente quella che riguarda lo “spazio pubblico”,  ci spinge a ripensare quella domanda.

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