In un pomeriggio beneventano come tanti, Architettura e Fumetto si incontrarono e cominciarono a parlare… E ne venne fuori un confronto niente male. “Un dialogo tra due arti che lavorano con lo spazio e il tempo per creare mondi nuovi e immaginari”.
A raccontarcelo: un ingegnere appassionato di fumetti e un architetto, ovvero Antonio Furno, volto ormai noto nell’ambito di Bn.Comix (con una rubrica sul Vaglio.it), e Piergiorgio Romano, progettista presso lo studio [archiattack].
Perché un fumettista è anche un po’ architetto e perché un architetto è anche un po’ fumettista? Sullo sfondo di questo interrogativo, la città contemporanea.
Il fumetto nasce per raccontarla e fondamentalmente l’architettura anche. “Si tratta quasi dello stesso mestiere – ha esordito Piergiorgio Romano, – immaginare, creare nella mente lo scenario urbano, interpretarlo, pensare e vedere le persone all’interno degli spazi, con le loro storie e le loro esigenze; è un processo comune”. Antonio Furno, con la sua tipica passione, ha mostrato una serie di fumetti e disegni che hanno centrato il bersaglio della serata. Ma una premessa è stata quasi obbligatoria, in un luogo di architetti: “Sono un ingegnere, il ‘nemico’, ma è grazie alla mia fonte personale, mia moglie, architetto, che da sempre bazzico nel mondo dell’architettura e leggo i fumetti con occhio critico in questo senso”.
Furno è partito con un elenco di fumettisti/architetti (Hergè, Mobius, Eisner, Ross), creatori di mondi le cui strutture, città, spazi sono i personaggi principali delle loro storie. Progetti di palazzi e città meticolosi, bozzetti a dimostrazione del fatto che un grande fumettista è così che lavora. Immaginando, studiando, elaborando studi preparatori. Come quelli di Magnus (Roberto Raviola), caratterizzati da un curatissimo livello di dettaglio e di tecnica. E poi Antonio Furno è andato più nel dettaglio, costretto nel poco tempo (non gli basterebbero giornate intere), raccontando i protagonisti scelti di questo dialogo. Ha mostrato il casermone popolare di Katsuhiro Otomo in Domu (notare l’assonanza con domus), gli spazi urbani dei New York Drawings di Adriane Tomine, genio della strutturazione essenziale ma efficace. Ha raccontato di Asterios Polyp, architetto teorico, razionale che progetta e non costruisce, nato dalla matita di David Mazzucchelli; della sua vita (e della sua casa fredda, canonica, piena di oggetti di design) prima di incontrare Ana, folle scultrice del tutto irrazionale; e della sua vita (e della sua casa, riprogettata, in cui tutto è sconvolto e pure il tavolino è messo sottosopra), dopo l’amore.
Un momento speciale è stato dedicato a Chris Ware e a Building Stories (Storie di costruzioni o Costruzione di storie?). E’ un fumetto. Anzi non è un fumetto, è un oggetto. Strano. Sembra un gioco da tavola. Tutto è progettato nel dettaglio, anche sulla fascetta ci sono istruzioni. All’interno ci sono quattordici elementi, tutti di formato diverso, libretti rilegati, spillati, un grande tabellone, piccole strisce, un elemento in formato giornale. Sul bordo laterale della copertina poi, il fumetto più piccolo del mondo. Si tratta della storia di un palazzo di Chicago e dei suoi abitanti: una donna di cui non si sa il nome, una coppia con problemi matrimoniali e una vecchietta proprietaria dell’edificio. Ma il vero protagonista è lui, il palazzo. Ware lo ha prima costruito e poi ci ha messo dentro le persone.
A chiusura dell’intervento, Sin City, la città del peccato di Frank Miller. Antonio ha sottolineato una serie di dettagli cruciali della storia: scala, porta, finestra (più architettura di così, non si può).
A rispondere è toccato poi a Piergiorgio Romano. “Non si può prescindere dalle persone che vivranno lo spazio. Si parte da loro e dalle loro storie per far venire fuori un buon progetto”. A lui il compito di mostrare i lavori di una serie di architetti che hanno utilizzato il linguaggio dei fumetti per le proprie realizzazioni e per comunicare al maggior numero di persone possibile. Dividendo il percorso in più fasi, è partito dal “catturare l’idea di progetto” e quindi penna, matita, foglio: cercare di condensare in uno schizzo immediato un’idea. Ha mostrato il quaderno degli appunti di Sou Fujimoto e i dettagli tecnici di tre architetti belgi De Vylder, Vinck e Taillieu. E la città immaginata di Le Corbusier che ha presentato uno scenario che si fa fatica a distinguere da quello di un fumetto, e uno schizzo di Carlo Scarpa. Non sono mancati schizzi incomprensibili come quello del Guggenheim di Bilbao. E stravolgimenti di progetti in cui l’assetto canonico di una casa viene completamente smontato e ricostruito in maniera nuova.
Dal catturare l’idea alla rappresentazione del progetto. Sullo sfondo sempre la città immaginata. Bonnier, Perret, Sant’Elia: progetti di edifici a torre, grattacieli e di una centrale elettrica. Si tratta di disegni fatti a mano, con la china, che richiedono settimane di lavoro. Proprio come fa il fumettista. Unica differenza, ha fatto notare Piergiorgio Romano, il mancato passaggio del tempo sui progetti.
Effettivamente, contrariamente ai disegni dei palazzi che si ritrovano nei fumetti, spesso pieni di crepe, rovinati, specchio del tempo che passa, gli architetti si limitano a disegnare (ovviamente? forse) strutture perfette.
Tra i tanti lavori mostrati e i tanti architetti, è stato descritto anche il progetto di un percorso pedonale, vincitore di concorso, di [archiattack]. Immaginato, pensato, realizzato come una tavola e comunicato con linguaggio fumettistico. “Personaggi” disegnati e situazioni rappresentate, come la molteplice funzione di un elemento architettonico che ora funge da seduta, ora da cestino gettacarte, ora da base per un punto luce.
A conclusione del suo intervento Romano ha mostrato le realizzazioni della maggior parte dei disegni precedentemente descritti puntando l’attenzione soprattutto su costruzioni particolari e fuori dal canonico, come la casa trasparente dello studio Fujimoto, o la casa con gli alberi dentro.
Ad assistere al “botta e risposta” fra Architettura e Fumetto un nutrito gruppo di appassionati delle due arti che hanno goduto, per la prima volta, della loro inedita compresenza.
(Marzia Giardiello - fonte il vaglio)
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